Alabarda stemma di Trieste

Faro della Vittoria

                            Piazza Unità d'Italia

                          Prefettura e Municipio

                   Castello di Miramare

La Lanterna Sede della Lega Navale

   Monumento ai dispersi in mare 

S.Giusto monumento ai caduti

         Risiera di S. Sabba  Campo di Sterminio

Bagno la Lanterna muro divisorio tra uomini e donne

              Tram a fune che sale sull' altipiano

                           Cattedrale di S. Giusto

                                 Teatro Romano

                            Chiesa Greco Ortodossa

                        Chiesa Serbo Ortodossa

VIDEO SU TRIESTE

CANZONI TRIESTINE

El can de Trieste

Xe tanto ormai che son lontan de ti vecia Trieste mia
Son restà solo e gavevo voia de voia de compagnia
Alora Trevisan me ga mandà un bel can nato in un'osteria
Però quel fiol de un can quel fiol de un can de un can el iera sempre triste
No'l me fazeva mai le feste gnanca a mi che son el suo paron
Alora go mandà una cartolina una cartolina de protesta
Alora el mulo Trevisan me ga risposto el me ga spiegà perchè
Solo davanti a un fisco de vin quel fiol de un can fa le feste
perchè 'l xe un can de Trieste perchè 'l xe un can de Trieste
Davanti a un fiasco de vin quel fiol de un can fa le feste
perchè 'l xe un can de Trieste e ghe piasi el vin!
Da qualche mese in qua a bever go imparà come un fachin del porto
E in sta maniera so che un giorno sentirò la mia campana a morto
Ma chi se ne... pardon! Che i fazi pur din-don se morirò contento
Perchè quel fiol de un can quel fiol de un can de un canel xe cusì beato
Adesso el me lecca come un mato perchè spuzo sempre più de vin
E so che'l me vol ben che go un amico per la prima volta in vita mia
E mi me basta un ano de sta bela vita e po' sarà quel che sarà
Solo davanti a un fisco de vin quel fiol de un can fa le feste
perchè 'l xe un can de Trieste perchè 'l xe un can de Trieste
Davanti a un fisco de vin quel fiol de un can fa le feste
perchè 'l xe un can de Trieste e ghe piasi el vin!
perchè 'l xe un can de Trieste e ghe piasi el vin!
e ghe piasi el vin! e ghe piasi el vin! Si!
Viva là e po' bon! Viva là e po' bon!

El tram de Opcina

E anche el tram de Opcina xe nato disgrazià
vignindo zò per Scorcola una casa'l ga ribaltà
Bona de Dio che jera giorno de lavor
che dentro no ghe jera che'l povero frenador
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
Co'l due se va a Servola, co'l quatro in Arsenal
col sie se va a Barcola, col zinque in Ospedal
con l'uno in zimitero, co'l sete a la staziòn
co'l nove in manicomio, co'l diese in canòn
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
E anche ste mulete tute mate pe'l capèl
le zerca de acompagnarse a quelche bel putèl
ma co i riva a casa se senti un gran bordèl
e pare, mare e fia copa simisi co'l martèl
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
L'Italia ga pan bianco, la Francia ga bon vin
Trieste ga putele tute piene de morbìn
Carbòn ga l'Inghiltera, la Russia ga cavial
e l'Austria ga capuzi che no se pol magnar
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
E come la bora che vien e che va
i disi che'l mondo se ga ribaltà
E anche ste mulete xe nate carigade
le tira zo le cotole per meterse le braghe
le fuma come cogome, le legi el Grand Hotel
e pare, mare e fia copa simisi co'l martèl

RICETTE TRIESTINE

Nel corso del tempo, la cucina del territorio triestino è stata arricchita da molteplici e cosmopolite influenze, in particolare austriache, venete, friulane e slovene, che hanno dato vita a una tradizione composita. Così, da un lato si possono individuare gli influssi giuliani, formati dal patrimonio gastronomico di Trieste, Venezia, Gorizia, Istria e Dalmazia. Da un altro lato quelli asburgici, a loro volta innervati dalla cucina slava, ebraica, ungherese, boema e greca. Da un terzo versante l’influenza friulana. Il risultato è la convivenza di sapori e di tecniche in cui sono affiancati e talvolta sovrapposti il Mediterraneo e la Mitteleuropa.
Ecco allora che, tra gli antipasti, sono diffusi i sardoni in savòr, il prosciutto cotto in crosta di pane, il bacalà mantecato e il liptauer (saporitissima crema di formaggio amalgamata con acciughe, cipolla, capperi, senape e cumino). Numerosi sono i primi piatti di origine mitteleuropea, ad esempio la jota (minestra invernale di crauti, patate, fagioli e pancetta), i gnochi de pan o de susini. Alcuni esempi di secondi possono essere i nervetti (piedino di maiale bollito condito con aceto e cipolla), lo stinco de vedèl (stinco di vitello al forno), gli scampi alla busara o la calandraca (una specie di goulasch ungherese).
Tra i contorni, citiamo i bruscandoli (asparagi selvatici, con cui si fa la frittata), i capuzi (crauti) e le patate in tecia (in tegame con cipolla e pancetta).
I dolci sono per lo più di tradizione austriaca e slovena): il prèsnitz (pasta sfoglia ripiena di frutta secca) e la putìzza (pasta morbida e frutta secca), lo strùcolo de pomi (strudel alle mele), lo strùcolo cotto (strudel alle noci), i crostoli (le chiacchiere veneziane), i kifeletti (bastoncini di patate), il krapfen (bombolone fritto e farcito con marmellata o crema), le frìtole (piccole frittelle), le palacìnke (omelettes dolci) e la pinza (dolce pasquale).
La lunga tradizione portuale e commerciale di Trieste ha contribuito a diffondere l’uso di spezie ed erbe aromatiche: in particolare cumino o kümmel (in dialetto kimmel), noce moscata, timo, maggiorana, alloro, rosmarino, cannella. Molto apprezzato è il kren (radice di rafano), dall’originale gusto piccante che ben si accompagna al prosciutto cotto, ai bolliti e alle salsicce.
Tra i vini caratteristici, vanno segnalati almeno due rossi (Terrano del Carso e Refosco) e un bianco (il Malvasia di origine istriana).
Per celebrare l’importante produzione enologica, la Provincia di Trieste ha di recente istituito la Strada del vino Terrano: dalla collina di Visogliano, a ridosso della costa di Sistiana, arriva a Opicina, passando attraverso le principali località di attività vinicola. Nel percorso, si possono trovare una ventina di trattorie, in cui la tipica cucina locale è abbinata all’aspro e inconfondibile Terrano. Gli esercizi aderenti all’iniziativa sono individuabili grazie a una specifica segnaletica e, all’esterno del locale, espongono una tabella che garantisce l’adesione alla “Strada del vino Terrano”.


Ricette


(Nota: le dosi di ogni ricetta sono calcolate, abbondantemente, per quattro persone)




Patate in tecia
Pelate un chilo di patate e bollitele in acqua salata. Intanto, in una padella, soffriggete in tre cucchiai d’olio d’oliva mezzo etto di pancetta affumicata tagliata a dadini e una cipolla (meglio se rossa) tagliata finemente. Scolate le patate quando sono ancora sode e con un cucchiaio di legno schiacciatele grossololanamente nella padella, mescolandole alla cipolla e alla pancetta. Procedete nella cottura facendo in modo che, sul fondo della padella, le patate formino una crosticina: dona al piatto un sapore tipico. Quando la crosta si è formata, spezzatela col cucchiaio e mescolatela al resto dell’impasto, poi attendete che se ne crei una nuova e unitela al resto delle patate. Fate così per alcuni minuti, finchè il composto non è diventato consistente e il colore chiaro delle patate si è mescolato a quello più scuro delle crosticine. Aggiustate di sale e pepe.


Capuzi
In genere, i triestini preferiscono che i crauti siano piuttosto acidi e dunque, prima di metterli a cucinare, li risciacquano poco. Se il loro sapore aspro non vi piace, potete lavarli sotto abbondante acqua corrente. Sappiate però che ciò li renderà più simili ai crauti austriaci, che tendono al dolciastro. In ogni caso, se potete, evitate i crauti in lattina o precotti (dal sapore troppo addomesticato) e procuratevi quelli piuù artigianali, in contenitori di legno o in buste di plastica.
In una pentola capiente e antiaderente, soffriggete in tre cucchiai d’olio d’oliva uno spicchio d'aglio, una cipolla grossa e una carota tagliate sottilmente. Appena l’aglio comincia a scurirsi, toglietelo e portate a compimento il resto del soffritto. Poi aggiungete i crauti. Lasciate che prendano una scottata, quindi aggiungete una foglia di alloro e della carne: un cotechino, della pancetta affumicata o pepata, costine di maiale affumicate oppure quattro lugànighe (salsicce).
Lasciate le pentola sul fuoco lento finchè i crauti non sono morbidi. Se si asciugano troppo, aggiungete qualche cucchiaio di acqua calda, ma alla fine della cottura fatela evaporare tutta. Regolate di sale e (se il sapore vi piace) aggiungete un cucchiaino di kümmel (semi di cumino).
Se preferite un piatto più leggero, bollite le carni a parte, in abbondante acqua non salata, per trenta/quaranta minuti e unitele ai crauti solo dopo averle già cotte.
Per i triestini, i crauti sono veramente buoni solo a partire dal giorno dopo, riscaldati tre o quattro volte. Ma di solito i capuzi avanzati si usano come base per fare la jota.


Jota
E’ forse il piatto invernale più tipico e tradizionale della cucina locale, una specie di originalissima zuppa a cui pochi triestini rinunciano.

La sera prima, mettete a bagno in acqua fredda tre etti di fagioli borlotti secchi. (Per guadagnare tempo, potete usare anche i fagioli in scatola, ma sappiate che il risultato finale non potrà essere lo stesso). Per togliere il sapore di legume crudo, scolateli e poi bolliteli in abbondante acqua salata, assieme a due patate pelate e tagliate a pezzetti. Dopo circa un’ora, per rendere la jota più densa, passate al settaccio le patate e un po’ di fagioli. Unite il tutto ai capuzi (vedi ricetta precedente) con abbondante carne e continuate la cottura per almeno un’ora. Se è il caso, aggiustate di sale e poi servite la minestra ben calda.
Come per i capuzi, anche la jota diventa molto più gustosa a partire dal giorno dopo.
In una delle tante varianti, i fagioli sono sostituiti dall’orzo.


Gnochi de pan
In una terrina, mescolate due uova, quaranta grammi di farina, mezzo chilo di pane raffermo (precedentemente ammorbidito nel latte e poi accuratamente strizzato), tre cucchiai di parmigiano grattugiato, un etto di ritagli di prosciutto cotto o speck oppure pancetta affumicata, prezzemolo o (se piace) timo.
Sul piano di lavoro stendete circa due etti di farina, in cui passerete gli gnocchi che avete formato dall’impasto della terrina.
Metteteli a cuocere in abbondante acqua bollente e salata: sono pronti quando vengono a galla.
Si condiscono con pepe e pan grattato rosolato in padella nel burro.


Nervetti
Sono le cartilagini del manzo e del maiale oppure la testina di vitello a cui resta attaccata un po’ di polpa di carne: bollite a lungo, in poca acqua leggermente salata finchè si staccano con facilità dalle ossa. Appena tolti dal fuoco, si mettono in un recipiente con un peso sopra: una volta freddi, diventano una massa unica che viene tagliata a pezzettini. Si condiscono in vari modi, anche se la ricetta base prevede cipolle crude a listarelle (precedentemente lasciate per trenta minuti in acqua fredda affinchè diventino meno pungenti), aceto, olio d’oliva e prezzemolo tritato. Si possono aggiungere cetrioli o peperoni sottaceto.


Bacalà mantecato
Vista la preparazione lunga, laboriosa e dall’odore forte e persistente, spesso viene comprato già pronto (in rosticceria, in salumeria…): in alcuni locali è decisamente buono.
Se invece preferite farlo in casa, sappiate che a Trieste si chiama “baccalà” quello che, in realtà, è lo “stoccafisso” (dal tedesco “stockfish”, pesce bastone). La differenza è semplice: il primo è merluzzo salato e il secondo (quello che si usa) è merluzzo essiccato.
Per l’acquisto, scegliete tra le diverse qualità il Vero Ragno o il Westre Magro: hanno carni più magre e gustose e, dopo l'ammollo, assai più tenere. Ne servono quattro etti e optate, se lo trovate, per il baccalà già messo a bagno: in caso contrario, dovrete procedere voi, battendolo energicamente, poi tenendolo in ammollo per due giorni e cambiando di frequente l’acqua.
Sciacquate il pesce e cuocetelo in una pentola coperta d’acqua per almeno due ore (anche di più se la polpa vi sembra troppo dura), poi lasciatelo raffreddare, pulitelo, togliete le lische, tagliatelo a pezzetti e rimettetelo in pentola. In olio d’oliva delicato (se è troppo forte rischiate di coprire il sapore del baccalà) fate imbiondire due spicchi d’aglio, quando cominciano a diventare scuri buttateli via e, quando l’olio non sarà più bollente, versatene metà sul baccalà e lasciate riposare finché non si sarà tutto assorbito. A questo punto, mescolate energicamente con un cucchiaio di legno finchè ottenete una massa abbastanza omogenea, senza preoccuparvi se alcuni pezzetti restano interi. Poi continuate la mantecatura utilizzando una frusta e versando a filo l'olio rimasto. Se il baccalà vi pare troppo asciutto, aggiungete ancora dell’olio. Unite del prezzemolo tritato e aggiustate di sale e pepe.


Gnochi de susini
Possono venir serviti sia come dolce che come primo piatto. Nel secondo caso, mettendo meno zucchero nel ripieno ed evitando di aggiungerlo sulla copertura finale.

Se non avete susine fresche, potete utlizzare anche le prugne secche, dopo averle ammollate in acqua e, se preferite, con aggiunta di confettura di prugne. Sappiate però che, a seconda dei casi, il risultato finale sarà molto diverso.
Per l’impasto degli gnocchi, le migliori sono le patate farinose.
Bollite in acqua leggermente salata otto etti di patate con la buccia e pelatele quando sono ancora calde. Schiacciatele accuratamente e lasciate raffreddare. Poi impastatele con un uovo, 30 grammi di burro, 150 grammi di farina bianca e un pizzico di sale. Formate un panetto morbido e privo di grumi. Su una superficie infarinata, formate dei dischetti di impasto, al cui centro collocare una susina (snocciolata!) e un po’ di zucchero. Chiudeteli con le mani facendo ben aderire la susina alla pasta: avrete formato gli gnocchi ripieni. Cuoceteli in abbondante acqua bollente e scolateli non appena affiorano. In un pentolino sciogliete mezz’etto di burro, aggiungete tre cucchiai di zucchero, cannella a piacere e (non tutti lo mettono) mezz’etto di pane grattugiato. Soffriggete fin quando il pane inizia a diventare scuro. Ricoprite gli gnocchi ancora caldi con la salsa di burro e servite.


Sardoni in savòr
Si tratta di un antichissimo modo per conservare a lungo i cibi. La ricetta base era usata già dai romani, per preservare i pesci di piccola taglia senza ricorrere a sistemi come l’essiccatura o l’affumicatura. In particolare, la tecnica veniva utilizzata dai marinai: obbligati a stare per giorni e giorni in alto mare, avevano bisogno di alimenti che non si guastassero presto e che fossero facilmente commestibili. Inoltre, la vitamina della cipolla serviva da prevenzione contro la malattia più tipica dei marinai: lo scorbuto.

Così, anche grazie a questa lunga storia, il piatto base è molto diffuso e si può trovare, nelle sue tantissime varianti, in tutto l’Adriatico, in Piemonte (il carpione) e sulle coste del nord Europa, Danimarca, Germania o Svezia.
Pulite ed eviscerate un chilo di alici (sardoni per i triestini), passatele nella farina e friggetele in abbondante olio (possibilmente d’oliva), poi scolatele e asciugatele con della carta assorbente.
Tagliate finemente (ma non troppo) un chilo di cipolla e mettetela in una padella con olio d’oliva, coprite, cuocete la cottura per una decina di minuti su fuoco basso e mescolate di tanto in tanto. Dopo una decina di minuti, togliete il coperchio e fate in modo che il liquido si consumi, evitando che la cipolla bruci o si attacchi al fondo. E’ pronta quando cede alla pressione del mestolo ed è leggermente rosata. A questo punto aggiungete un decilitro di aceto e due foglie di alloro. Alzate la fiamma portando a bollore per ridurre il liquido a circa metà e quindi regolate di sale e pepe. La cipolla così lavorata è il vero e proprio savòr. Levatelo dal fuoco e aspettate che si raffreddi, aggiungete il succo di mezzo limone. Poi, in una capiente terrina, alternate uno strato di sarde fritte con uno di savòr. Versateci l’eventuale liquido rimasto e lasciate riposare al fresco: il piatto è pronto, con gli ingredienti perfettamente amalgamati, dopo due giorni e va consumato freddo.
Il “saòr ala venexiana” prevede l’aggiunta di pinoli e uvetta passita.


Calandraca
Pur essendo un piatto di carne, la calandraca nacque come pietanza marinara: la ricetta originale utilizzava la carne secca, ingrediente frequente sulle navi del passato perché difficilmente deperibile. La carne seccata veniva bollita e poi usata per preparare la calandraca. Ed è questa la principale differenza con gli altri spezzatini o con il goulash: in quasi tutti, la base di carne viene brasata, mentre nella calandraca viene bollita. Si lessano dunque sette etti di manzo (preferibilmente muscolo), assieme a due carote, una cipolla, una costa di sedano e mezzo chilo di patate pelate e tagliate a pezzi. Quando carota e sedano sono cotti, si tolgono dal brodo, si tritano e poi si passano in padella con dell’olio d’oliva (la ricetta tipica prevedeva lo strutto). La carne scolata va tagliata a pezzetti, mescolata alle verdure e cucinata ancora in padella. Si aggiunge un decilitro di vino bianco, un decilitro di salsa di pomodoro e le patate. Dopo aver allungato col brodo di cottura, si lascia consumare a fuoco lento per circa un’ora e, prima di servire, si aggiusta di sale, pepe e maggiorana.



Presnitz
L’origine del nome è dubbia, e comunque curiosa. Secondo alcuni, arriva dal goriziano e in particolare da Castagnevizza. La versione più accreditata è invece un’altra: nel 1832, arrivarono in visita ufficiale a Trieste Francesco I e l'imperatrice d'Austria Sissi. La città e il porto vennero addobbati a festa e furono organizzati alcuni concorsi di artigianato e gastronomia. In una pasticceria del centro fu esposto un dolce dalla forma di anello o di serpente arrotolato, dal ripieno di uvette, pinoli e canditi. Sulla glassa compariva la scritta augurale, dedicata a Sissi, "Se giri il mondo, ritorna qui". Il dolce fu chiamato chiamato "Preis Prinzessin" (Premio Principessa), poi storpiato in "presnitz".
Si tratta comunque del prodotto più tipico e popolare dell’arte pasticcera triestina, ancor oggi molto diffuso. Tuttavia, dato che la sua preparazione casalinga è complessa e laboriosa, molto spesso lo si acquista già pronto. In ogni caso, ecco la ricetta base.
Ingredienti per il ripieno:
due etti di mandorle pelate,
due etti di gherigli di noce,
mezz’etto di cedro candito,
mezz’etto di arancia candita,
un etto di uva passa,
un etto di pinoli,
un etto di biscotti secchi grattugiati,
mezz’etto di zucchero,
tre cucchiai di miele di castagno,
mezz’etto di burro,
un decilitro di rum,
un etto di cioccolato fondente grattugiato,
la buccia grattugiata di un'arancia e di un limone,
un pizzico di cannella e di noce moscata,
una fialetta di aroma vaniglia,
un pizzico di sale.
Ingredienti per la pasta sfoglia:
tre etti di farina bianca 00,
due etti e mezzo di burro,
due tuorli d’uovo,
quattro cucchiai di latte,
un bicchierino di grappa,
un pizzico di sale,
un uovo intero sbattuto con due cucchiai di zucchero per glassare.
Preparazione:
Mettete l’uvetta a mollo nel rum e lasciatela per alcune ore.
Impastate il burro con 100 di farina. Fatene un panetto e mettetelo in frigorifero per un paio d'ore. Intanto, impastate l’altra farina con i due tuorli, il latte, la grappa e il sale. Poi stendete la pasta, ponetevi nel mezzo il panetto tolto dal frigorifero e richiudete a libro. A questo punto stendete la pasta col matterello e ripiegate nuovamente. Ripetuto il procedimento sette/otto volte, fate riposare l’impasto nel frigorifero. In alternativa, si può usare una semplice pasta sfoglia surgelata (preferibilmente fatta con burro).
Tritate mandorle e noci, quindi mettetele in una terrina con gli altri ingredienti (i pinoli, i canditi, il cioccolato…) e l'uvetta, bagnate il ripieno con qualche cucchiaio del rum avanzato.
Stendete la pasta a forma di rettangolo piuttosto allungato e alto mezzo centimetro, versateci sopra il ripieno, chiudete la sfoglia in modo da formare una specie di serpentello che avvolgerete a spirale. Mettete il presnitz in una teglia imburrata e infornate per tre quarti d’ora a 40 minuti a 180°. Circa a metà cottura, spennellate la superficie con l'uovo sbattuto e due cucchiai di zucchero.
Prima di servire, lasciate che si raffreddi: non è un dolce da mangiare caldo. E se lo taglierete il giorno dopo, non si sbriciolerà.